giovedì 25 giugno 2009

DISTURBI ALIMENTARI: SUGGERIMENTI PER FAMILIARI E AMICI

COME ESSERE D'AIUTO A CHI VIVE A CONTATTO CON PERSONE CHE HANNO UN PROBLEMA ALIMENTARE

Quando ci si trova vicini ad una persona che soffre di un disturbo alimentare, indipendentemente dal fatto che questi sia già in terapia o meno, viene naturale porsi delle domande sul come devono essere gestiti molti aspetti della vita di ogni giorno.
Cosa fare di fronte ad una partner che si abbuffa? Bisogna costringere o no una figlia a mangiare? Bisogna far notare ad un amico che sta aumentando troppo di peso? Come regolarsi in casa con i problemi della spesa, della preparazione dei cibi, della loro assunzione etc.? Cosa fare se si scopre cha la figlia fa uso di farmaci come lassativi o diuretici?
Spesso i parenti, i partners o gli amici di questi pazienti cercano di risolvere i problemi cercando di modificare, o controllare, il comportamento dei loro cari. Eppure, è dimostrato che questo tipo di strategie non funzionano quasi mai! Infatti non appena il controllo si indebolisce, e se non si è cercato di modificare la motivazione al cambiamento della persona malata, il suo comportamento tende ben presto a ritornare come prima (talora addirittura peggiorato!).
In realtà la maggior parte delle reazioni che si hanno di fronte al disturbo di un familiare o di un amico, che soffre di un DCA, nascono da una comprensibile reazione ai sentimenti di impotenza, frustrazione, inutilità, rabbia, che questi pazienti suscitano nelle persone che li circondano.
Questi sentimenti sono reazioni naturali e comprensibili che tutti proviamo (anche noi terapeuti) di fronte a problemi su cui sentiamo di non avere controllo.
E visto che uno dei principali problemi di una persona che soffre di un DCA è proprio un problema di controllo (questi pazienti sono costantemente angosciati dalla ossessione del controllo del peso e del proprio aspetto fisico, o dalla paura angosciosa di perderlo) pensare di poterli battere in una partita sul controllo è una battaglia persa in partenza.
Ecco allora che bisogna escogitare qualche formula per sopravvivere emotivamente ad un caro, o un familiare, che soffre di un disturbo alimentare, nell’attesa che la terapia dia i suoi risultati.
Ci sono alcuni consigli che possiamo darvi, per affrontare situazioni come queste. Prendeteli come una guida per la meditazione, o come stimolo per un gruppo self-help per familiari, ma in ogni caso rifletteteci sopra!
• Impariamo ad accettare il fatto che certe malattie non possono essere guarite all’istante; più in generale, diciamo che nella vita non tutto ciò che viene identificato come problema, può essere risolto inpoco tempo.• Impariamo ad accettare il diritto di un’altra persona ad avere una vita indipendente; nella vita non possiamo cambiare tutte le persone e farle diventare come le vorremmo noi. Ciascuno (dopo essere stato adeguatamente informato dei rischi cui le sue condotte lo espongono) deve essere libero di fare le proprie scelte riguardo al come gestire la propria vita. Come dice David M. Garner: “avere una anoressia o una bulimia non è un reato penale!” Perciò, soprattutto se sappiamo che l’altro/a è in cura da un terapeuta, dovremmo riuscire a farci da parte.• A prescindere dal fatto cheil nostro caro sia, o non sia in trattamento,é meglio tenersi in disparte dai problemi del cibo e non centrare la relazione con questa persona sui problemi del cibo e del peso corporeo. E’ infatti importante parlare anche delle cose “normali”: da “come é andata oggi al lavoro/a scuola”, a “cosa ne pensi dell’ultimo film di Salvatores”.
Naturalmente,poi, quando si deve condividere la casa con una persona che soffre di un DCA, le regole della convivenza saranno ovviamente diverse a seconda del rapporto che avete con questa persona. Orientativamente, comunque, si dovranno affrontare i problemi relativi a quali e quanti cibi tenere in casa, come gestire il problema delle abbuffate e del vomito etc.
Proviamo, perciò, a stabilire alcune regole generali di convivenza che possono aiutare pazienti e familiari a convivere meglio con questi problemi e a progredire, contemporaneamente, sulla via della guarigione e della conservazione delle relazioni affettive.
• Evitate di acquistare o ri-acquistare alimenti speciali o comunque esclusivamente destinati per la persona che soffre di un DCA. Questo significa che se uno della famiglia si abbuffa deve essere sua responsabilità rimpiazzare il cibo che ha fatto sparire (questo può tra l’altro aiutarlo/a a rendersi consapevole dei costi economici della sua malattia). Ma significa anche che non serve comprare cibo speciale per invogliare un’anoressica a mangiare.
• Lasciate che ogni membro della famiglia decida da sé cosa vuole o non vuole mangiare senza costringere, né limitare, nessuno nelle sue scelte alimentari (purché sia prima soddisfatta la regola precedente).
• Cercate di non trasformare l’ora del pranzo in un campo di battaglia; ovvero cercato di lasciare il problema del paziente fuori dagli argomenti di conversazione a tavola. Se anche il paziente non vuole mangiare è importante che si sieda comunque a tavola. Se preferisce mangiare qualcosa di diverso deve essere libero/a di farlo purché se lo prepari da solo/a.
• Cercate di accordarvi sulle mansioni domestiche riguardanti il cibo. Ovvero se la persona che soffre di un DCA è anche la responsabile degli acquisti e della preparazione del cibo di casa, e questo le crea dei problemi, è opportuno offrirle il cambio lasciandole per un po’ altre mansioni domestiche che non abbiano a che fare con il cibo.
• Anche i malati devono essere responsabili dei loro comportamenti (particolarmente nel caso questo possa danneggiare gli altri). Perciò il fatto di nascondere il cibo in camera, lasciando briciole e cartacce in giro, o il fatto di andare a vomitare lasciando il bagno sporco, non è ammissibile in una famiglia! Anche in questo caso, non è di alcuna utilità per il paziente il fatto che qualcun altro si assuma le sue responsabilità o cerchi di alleggerirlo delle conseguenze dei suoi comportamenti sintomatici,anzi questo tipo di aiuti finisce per impedirgli di crescere e di prendere coscienza dei suoi problemi. Così chi si abbuffa deve lasciare la cucina pulita ed utilizzabile per gli altri, e se esaurisce le scorte alimentari della casa, è responsabile di andare a rimpiazzarle.
• Evitate più in generale di accollarvi l’onere di controllare il comportamento del paziente. Tipo: mettergli il cibo sotto chiave o restare a casa con lui/lei solo per evitare che si abbuffi, in quanto in questo modo non si aiuta il paziente ad acquisire un proprio controllo sul comportamento. Evitate anche di fare i detective per spiare e documentare i comportamenti sintomatici del paziente.
Queste regole, se decidete di seguirle, devono ovviamente essere inderogabili. Il che significa che, una volta stabilite, è importante farle rispettare, altrimenti è inutile averle create!
E’ evidente che se siete i genitori di una ragazza che dipende economicamente da voi le possibilità ed i poteri in gioco, saranno diversi che nel caso, ad esempio, di due conviventi finanziariamente indipendenti.
E’ opportuno che i piani di “sopravvivenza domestica”, le regole e le eventuali sanzioni vengano discusse insieme al paziente e che sia chiaro che tutto questo non ha alcuno scopo punitivo nei suoi confronti, ma semplicemente é necessario per il buon andamento della convivenza. Cercate di essere coerenti con quanto detto, cioè non fate deroghe ai patti per nessun motivo o le regole perderanno ogni senso.
E’ comunque opportuno che le eventuali difficoltà particolari possano essere portate come argomenti della terapia, sia dai familiari che dal soggetto. Nel dubbio, infatti, é sempre meglio non mettersi nei panni del terapeuta e non dare consigli che non si è sicuri possano essere corretti.
Infine cercate, per quanto, possibile di evitare che i comportamenti sintomatici del paziente con cui dovete convivere condizionino le vostre reazioni emotive, vi generino ansia o depressione, o vi portino a trascurare le vostre normali occupazioni (se questo accade è meglio farsi aiutare da un terapeuta), in quanto solo salvaguardando il vostro benessere e la vostra autonomia emotiva potrete essere realmente di aiuto alle persone che amate, sane o malate che siano.

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